Agenda settimanale degli eventi al Cinema Massimo

Cinema Massimo – dal 15 al 21 giugno 2012

- VENERDI’ 15 GIUGNO, ORE 20.30 e 22.30 – SALA TRE


Nuovo appuntamento di AMATI DA... con la proiezione dei film La signora in ermellino di Ernst Lubitsch e Otto Preminger e Il diavolo è femmina di George Cukor.

 

Per il secondo appuntamento con AMATI DA…Viaggio nel cinema americano, il Museo Nazionale del Cinema presenta, nella Sala Tre del Cinema Massimo, venerdì 15 giugno 2012, alle ore 20.30, la proiezione del film La signora in ermellino di Ernst Lubitsch e Otto Preminger, introdotto da Mariella Lazzarin e Matteo Pollone. Seguirà, alle ore 22.30, la proiezione di Il diavolo è femmina di George Cukor.

 

Peter Bogdanovich – regista e critico cinematografico statunitense, già protagonista del primo appuntamento di AMATI DA...Viaggio nel cinema americano – ha scelto, per il secondo, due commedie insolite e fantasiose. La signora in ermellino scritta da Samuel Raphaelson sulla base dell'operetta Questo è il momento di Rudolph Scahazer e Ernst Welisch, è una commedia musicale, allegra e colorata che Lubitsch diresse per soli nove giorni poiché, non appena iniziate le riprese, fu ucciso da infarto. La Fox interruppe la lavorazione del film per poi farlo terminare a Otto Preminger. Il diavolo è femmina è un film del 1935 diretto da George Cukor. Tratto da un romanzo di Compton Mackenzie, ebbe una tiepida accoglienza e fu scarsamente apprezzato dalla critica: forse a causa della modernità narrativa (salti di ambientazione frequenti e improvvisi) o forse per il travestimento di Katherine Hepburn - strepitosa nei panni di un ragazzo - e per le volute ambiguità sessuali, il film fu addirittura boicottato dalla Legion of Decency.

 

AMATI DA…Viaggio nel cinema americano è un percorso all’interno della produzione classica americana attraverso lo sguardo dei maestri che, a quella scuola, si sono formati. Gli incontri – organizzati da Giulia Carluccio, titolare della cattedra di Storia del Cinema Nordamericano dell’Università di Torino – avranno cadenza mensile e proporranno, di volta in volta, la visione alcuni capolavori della storia del cinema riletti da critici e registi. Un cammino a tappe dove il nome del cineasta a cui ogni serata è dedicata non serve solo come occasione per proporre una determinata opera ma diventa una vera e propria indicazione di visione d’autore.

 

Ernst Lubitsch/Otto Preminger

La signora in ermellino (That Lady in Ermine)

(Usa 1948, 89’, col., v.o. sott.it.)

Un castello italiano è occupato da un distaccamento dell'esercito ungherese il cui comandante fa il galante con la padrona di casa Francesca, mentre il marito geloso è fuggito. Di notte, la signora in ermellino, un'antenata della nobildonna, scende dal ritratto e le insegna come ci si comporta con il capo degli invasori. Lubitsch morì dopo nove giorni di riprese e la Fox passò il progetto a Otto Premiger, che non fu però accreditato come regista.

Copia ristampata da Swashbuckler Films

Sc.: Samson Raphaelson, dall’operetta di Rudolph Schanzer ed Ernst Welisch; Fot.: Leon Shamroy; Int.: Betty Grable, Douglas Fairbanks Jr., Cesar Romero.

 

 

George Cukor

Il diavolo è femmina (Sylvia Scarlett)

(Usa 1935, 95’, b/n, v.o. sott.it.)

Dopo la morte della madre, Sylvia Scarlett fugge, travestita da ragazzo, dalla Francia in Inghilterra, insieme al padre, un imbroglione ricercato dalla polizia. Si aggregano a un gruppo di saltimbanchi e commettono varie truffe. Terzo film della Hepburn con Cukor, di cui diventerà l’attrice prediletta. La complessa costruzione del racconto e la modernità dei temi furono la causa dell’insuccesso al botteghino ma oggi il film è considerato un classico della commedia.

Copia conservata da British Film Institute

Sc.: Gladys Unger, Mortimer Offner, John Collier, dal romanzo di Compton MacKenzie; Fot.: Joseph H. August; Int.: Katharine Hepburn, Cary Grant, Brian Aherne.

 

 

- DA VENERDI’ 15 GIUGNO A VENERDI’ 22 GIUGNO – SALA TRE


Il Museo Nazionale del Cinema presenta al Cinema Massimo Paesaggi dell’anima. Retrospettiva Valerio Zurlini.


In occasione del trentennale della morte di Valerio Zurlini, il Museo Nazionale del Cinema rende omaggio, da venerdì 15 a venerdì 22 giugno, al regista bolognese – sensibile e attento indagatore dei moti dell’anima – con un’ampia retrospettiva dal titolo Paesaggi dell’anima. Retrospettiva Valerio Zurlini.

               

La retrospettiva è un progetto del Museo Nazionale del Cinema organizzato con la collaborazione di Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, Fondazione Cineteca di Bologna e Cinecittà Luce.

 

Autore controverso e difficilmente inquadrabile, Valerio Zurlini non ha mai goduto – né in vita né dopo la morte prematura – della considerazione critica che avrebbe meritato. Eppure ha saputo analizzare come pochi altri registi italiani i sentimenti umani, le passioni violente che ci condizionano e ci distruggono, il rapporto tra l’individuo e la Storia, le corrispondenze tra la psicologia dei personaggi e il paesaggio in cui vivono. Jean Gili – uno dei critici che si è maggiormente occupato di analizzare la poetica del regista emiliano – ha dichiarato che “con Antonioni, Zurlini è il grande cineasta dei paesaggi degli stati d’animo” e che “appartiene a una sorta di generazione perduta, solitaria e distante di fronte a un mondo senza qualità, lacerato dalle contraddizioni che lo spingono in un unico movimento verso l’esaltazione romantica e verso la volontà d’autodistruzione”.

 

La retrospettiva sarà inaugurata venerdì 15 giugno, alle ore 16.15, nella Sala Tre del Cinema Massimo, con la proiezione del film Le ragazze di San Frediano, film del 1954 e debutto di Zurlini nel lungometraggio ispirato all’omonimo romanzo di Vasco Pratolini. Ingresso: 6.00/4.00/3.00 euro.

 

Valerio Zurlini

Le ragazze di San Frediano

(Italia 1954, 114’, b/n)

Un giovane meccanico fiorentino soprannominato Bob ha contemporaneamente cinque ragazze che illude ma che poi lascia o viene da loro lasciato. Vivace ritratto di un giovane, realizzato da Zurlini con freschezza e ironia. Nel romanzo di Pratolini le ragazze alla fine si vendicano del giovane portandolo in giro nudo per il quartiere. “Un film spirituale, gioioso, ironico; era interamente interpretato da debuttanti, il che gli dava un’aria di freschezza e di vivacità” (V. Zurlini).

Sc.: Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, liberamente tratta dal romanzo di Vasco Pratolini; Fot: Gianni Di Venanzo; Int.: Antonio Cifariello, Rossana Podestà, Giovanna Ralli. 

 

 

 

 

 

- LUNEDI’ 18 GIUGNO, ORE 20.30 – SALA TRE


In occasione della pubblicazione del saggio Liliana Cavani. Ogni possibile viaggio di Francesca Brignoli, incontro con l’autrice e con la regista emiliana che introdurrà la proiezione del film I cannibali.

 

Per il nuovo appuntamento con IL CINEMA DI CARTA e in occasione della recente pubblicazione del saggio Liliana Cavani. Ogni possibile viaggio di Francesca Brignoli (Le Mani edizioni, 2011), il Museo Nazionale del Cinema presenta, lunedì 18 giugno, alle ore 20.30, presso la Sala Tre del Cinema Massimo, la proiezione del film I cannibali di Liliana Cavani, presente in sala per introdurre la pellicola insieme all’autrice del volume e al critico cinematografico Nuccio Lodato. Conduce la serata: Sonia Del Secco (Museo Nazionale del Cinema). Ingresso:6.00/4.00/3.00 euro

 

Da pochissimo insignita del David di Donatello alla carriera (maggio 2012) e del Premio Federico Fellini 8 ½ per l'Eccellenza Cinematografica (marzo 2012), Liliana Cavani è una sceneggiatrice e regista italiana da sempre anticonformista e provocatoria nel trattare temi delicati e spinosi. Tra i suoi film più coraggiosi, I cannibali – sceneggiato in collaborazione con Italo Moscati e Fabrizio Onofri – è un libero adattamento dell’Antigone di Sofocle, girato in una Milano in piena contestazione, che propone una riflessione sui crimini perpetrati dall’autorità. La Cavani usa l’opera di Sofocle per narrare una comunità che ha completamente smarrito il suo spirito religioso, autentico e naturale e in cui le regole della civiltà sono imposte da leggi che non hanno più rispetto per l’uomo e per il suo animo. Dell’anticonformismo del suo cinema racconta il saggio di Francesca Brignoli - Liliana Cavani. Ogni possibile viaggio - analisi puntuale di tutti i film della regista emiliana (con gli apparati completi di filmografia e teatrografia) autrice di un cinema libero da dogmatismi, controverso e appassionato.

 

Liliana Cavani

I cannibali

(Italia 1969, 95’, col.)

“In una città quasi deserta, disseminata di cadaveri che ingombrano le strade, presidiata da soldati in tenuta di guerra, dominata dalla paura e dal terrore, la rivolta di Antigone, come già nell'antica tragedia di Sofocle, significa la rivolta della libertà contro la dittatura. Liliana Cavani ha voluto non tanto attualizzare un mito, quanto coinvolgere lo spettatore, a livello emotivo e razionale, in fatti e situazioni che non possono non riguardarlo, dato che il fascismo è alle porte. La forza di certe immagini è tale da imporre un'attenzione Sc.: L. Cavani, Italo Moscati, Fabrizio Onofri, dall’Antigone di Sofocle; Fot.: Giulio Albonico; Int.: Britt Ekland, Pierre Clémenti, Tomas Milian.

 

 

- MARTEDI’ 19 GIUGNO, ORE 20.45 – SALA TRE


Per MAGNIFICHE VISIONI, il Museo Nazionale del Cinema presenta il film Ran di Akira Kurosawa.

 

Per MAGNIFICHE VISIONI. Festival permanente del film restaurato, il Museo Nazionale del Cinema presenta, martedì 19 giugno 2012, alle ore 20.45, nella Sala Tre del Cinema Massimo, il film Ran di Akira Kurosawa nel restauro digitale HD a cura del National Film Center. In replica mercoledì 20 giugno 2012 alle ore 16.00. Ingresso: 6.00/4.00/3.00 euro.

 

Basato sul Re Lear di Shakespeare, Ran è un film del 1985 scritto e diretto da Akira Kurosawa che ha compiuto un capolavoro di adattamento realizzando una versione nipponica ambientata nel XVI secolo della tragedia shakespeariana. Ambientato nel Giappone feudale, Ran (che significa “caos”) è un film sul disfacimento del mondo e sulla tragedia della condizione umana. Avidi e prigionieri delle proprie misere pulsioni, smaniosi nell’inseguire il proprio tornaconto, gli uomini sono destinati a un’esistenza infelice: Kurosawa descrive tutto con lucidità e crudezza unite a una semplicità disarmante, facendo emergere una sfiducia e un pessimismo pungenti e totalizzanti. Vincitore del Premio Oscar nel 1986 per i costumi, il film è caratterizzato da un trionfo cromatico che lo percorre per intero e da un ritmo e una tensione emotiva che si mantengono costanti, anche là dove i dialoghi assumono l'aspetto del monologo.

 

Il film fa parte degli appuntamenti della nuova e ricca stagione di MAGNIFICHE VISIONI. Festival Permanente del Film Restaurato che propone, anche per quest’anno, a seguito del grande successo di pubblico e di critica delle scorse edizioni, tre appuntamenti mensili con i capolavori del cinema, dall'età d'oro del cinema classico, spaziando dal muto fino alle nouvelle vague degli anni '60 e oltre, in copie restaurate provenienti dalle più importanti cineteche del mondo. I film saranno presentati in versione originale con i sottotitoli in italiano, e ogni proiezione sarà introdotta - quando se ne presenterà l’occasione - da cineasti, critici o personalità del mondo della cultura e del cinema.

 

Akira Kurosawa

Ran

(Giappone 1985, 163’, col., v.o. sott. it.)

Tragico viaggio verso la follia e la morte di Hidetora, signore e tiranno giapponese della guerra, che divide il suo principato tra i tre figli ingrati. Prima di spegnersi pronuncia una condanna senza rimedio dell'intera umanità. Kurosawa settantacinquenne rilegge il Re Lear e lo adatta ai nostri tempi, fino al punto da mettere in scena il disfacimento e il crollo del mondo. Ran è il caos che gli uomini folli creano nella loro vita, poiché cercano “il dolore, non la gioia, si esaltano nella sofferenza, si compiacciono dell’assassinio”, come osserva il personaggio dello scudiero quando Hideotora muore.

Restauro digitale HD a cura del National Film Center.

Sc.: A. Kurosawa, Hideo Oguni, Masato Hara; Fot.: Takao Saitô, Masaharu Ueda; Int.: Tatsuya Nakadai, Akira Terao, Jimpachi Nezu.



- MERCOLEDI&r quo; 20 GIUGNO, ORE 20.30 e 22.30 – SALA TRE


Per l’appuntamento mensile di CROSSROADS, proiezione del documentario Blank City di Céline Danhier.

 

Per l’appuntamento CROSSROADS di giugno, il Museo Nazionale del Cinema presenta, mercoledì 20 giugno, alle ore 20.30 e 22.30, nella Sala Tre del Cinema Massimo, la proiezione del documentario Blank City di Céline Danhier, meraviglioso tributo all'avanguardia cinematografica newyorkese, nata alla fine degli anni '70 nel Lower East Side di Manhattan. In replica venerdì 22 giugno 2012, alle ore 16.00. Ingresso: 3 euro

 

Presentato in prima mondiale alla Berlinale 2010 e programmato successivamente da decine di festival internazionali (Tribeca, Edinburgo, Melbourne, Vienna, Denver, Helsinki, per citarne solo alcuni), Blank City è il documentario-opera prima della regista francese Céline Danhier: una sorprendente e inedita riflessione sulla “Blank Generation” e sulla “No Wave” che – in epoca pre-reaganiana – travolsero New York con un’onda d’urto di cui, a trent’anni di distanza, si avverte ancora l’impatto. Nel 1976 The Blank Generation di Amos Poe - dove appaiono Patti Smith, Blondie e i Talking Heads - diventa una pietra miliare di un nuovo modo di fare cinema. Sulla scia della Factory di Andy Warhol, l'East Side di New York diventa una fucina creativa basata sullo scambio e sulla contaminazione tra linguaggi. Blank City è una ricostruzione dettagliata di quel momento, ricca di preziosi materiali d'archivio e di testimonianze dei protagonisti dell'epoca: il giovane volto di Vincent Gallo, il genio di Steve Buscemi, la creatività di Maripol (producer del film Downtown 81 con Jean Michel Basquiat) e l’energia di Patti Smith e ancora registi del calibro di Jim Jarmusch, Eric Mitchell, Beth B, Charlie Ahearn, Lizzie Borden e Amos Poe che mostrano l'anima tormentata di un East Village agli albori invaso di arte e rock in combinazione con la nascita dell'hip-hop.

 

“Mi interessava mostrare che cosa stava succedendo a New York City in quel periodo. Il pubblico conosce Jim Jarmusch e Cercasi Susan disperatamente ma non le origini del movimento. In particolare, il mio obiettivo era di promuovere i film della Blank Generation, quelli che la gente non conosce. Io amo molto i lavori di Scott e Beth B – sono molto interessanti dal punto di vista visivo – e quando li ho visti per la prima volta mi hanno ricordato David Lynch. E poi c’è King Blank di Michael Oblowitz, che racconta una storia davvero pazzesca” (Céline Danhier).

 

Céline Danhier

Blank City

(Usa 2010, 94’, col., v.o. sott.it.)

Un viaggio a New York, tra la fine degli anni Settanta e la metà degli Ottanta, per ricostruire una scena artistica, cinematografica e musicale di straordinaria e forse irripetibile fecondità. In un momento di profonda crisi economica della città, emerge una nuova generazione di creativi – spesso etichettata come ‘Blank Generation’ – che percorre strade nuove esprimendo lo smarrimento e l’angoscia dei giovani americani. Più che di ‘new wave’, infatti, all’epoca si parlò di ‘no wave’ e le immagini di Céline Danhier spiegano perfettamente come siano andate le cose. Tra gli intervistati figurano Amos Poe, Jim Jarmusch, John Lurie, Thurston Moore, Richard Kern, Scott & Beth B., Susan Seidelman e John Waters.

Proiezione video

assoluta che consente di cogliere quel messaggio di autentica libertà che era nelle intenzioni degli autori”. (Gianni Rondolino) 

Copia restaurata digitalmente da Minerva Raro Video.